Quando si sveglia, la mattina, la sua mente è pronta ancora prima delle sue dita. E le sue sono dita allenate. Dita che hanno scritto, negli anni, centinaia di storie.
Che hanno percorso chilometri, che hanno toccato mondi lontani, che hanno messo insieme cose diverse, che hanno separato cose uguali. Le sue dita hanno scritto mille storie di altri.
Ma non ci sono mai state lettere, capitoli, paragrafi. Solo ago, filo, orli, cuciture. Luciano è un cantastorie che usa la stoffa per raccontare mondi. Un sarto di quelli che non ci sono più. E se ci sono ancora, vivono come lui. Dentro il tempo ma come se ne fossero fuori, come se questa cosa dei giorni, delle ore che passano, degli anni che si sommano, non li riguardasse.
Sembra impossibile che esista un Luciano fuori da qui, dal suo atelier e dalle misure che prende con il metro solo per confermare quello che gli occhi hanno già visto.
Luciano è il suo atelier. Queste stanze in cui la musica è sempre accesa, i passi sempre in movimento, le pareti imbevute di voci, di sguardi, di esperienze passate e di tutto quello che ancora deve venire.
Chi entra qui non vuole un vestito, vuole sentirsi raccontare. E Luciano lo fa così bene che le persone attraversano paesi per venirlo a trovare. E lo trovano, sempre qui. Tutti i giorni. Presto la mattina, tardi la sera. Il primo ad entrare, l’ultimo ad uscire. Come se la stanchezza fosse cosa d’altri.
Ogni tanto me lo immagino, giovane, con le mani impazienti e la voglia di fare. Incapace ancora di vedere quale strada la vita gli avrebbe riservato. Lo vedo con un ago, un filo e un desiderio dai contorni imprecisi.
Me lo immagino e capisco una cosa. Che la passione rende vivi. Vitali. È il motore delle gambe e l’ossigeno del cervello.
Ed è la passione quella che muove ancora oggi le mani di Luciano. Che ha permesso a lui, un “puar sartôr di campagne” (“un povero sarto di campagna” in friulano), di cucire una storia impermeabile al tempo e a qualsiasi fatica.
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Questo lavoro fa parte delle esercitazioni, Experience, che gli studenti fanno durante il PerCorso di formazione fotografica per viaggiatori. Si chiama Experience perché l’obiettivo è quello di far immergere i PerCorsisti su un proprio progetto fotografico e sul soggetto da loro scelto, per costruire così un racconto per immagini.
Non importa se è una persona o un luogo a loro caro. Durante la realizzazione, il fotografo lavora da solo ma con l’assistenza e il supporto continuo di Luciano Perbellini per stabilire la rotta e individuare assieme le situazioni da integrare, per completare al meglio il racconto.
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